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giovedì 30 agosto 2012

Unico,magico,splendido Cervino



Prologo
Cos’è il Cervino? Una montagna come tutte le altre,direbbe qualcuno;un ammasso disordinato di rocce di gabbro,gneiss e scisti cristallini. Gaston Rebuffat, grande guida,la definì “un cumulo di pietre tenute insieme dal ghiaccio”;John Ruskin azzardando’un paragone marinaresco lo considerò“ lo scoglio più nobile d’Europa”.Alta e irraggiungibile,esemplare nella perfezione geometrica. Visto dal Vallese una “punta che buca il cielo,il Matterhorn”;la “Gran Becca” per i montanari del Breuil;la “montagna più bella del mondo”;un simbolo,la montagna per eccellenza.



































 Perché centinaia di alpinisti e non solo,ogni anno effettuano l’ascensione su questa montagna dal potente effetto magnetico,capace di ipnotizzare,ciascuno col suo sogno,con la sua motivazione e la sua idea,forse folle della montagna?Credo sia impossibile dare una definizione schietta,immediata di cosa realmente sia,forse perché solo il Cervino,come direbbe “Meridiani Montagne” rappresenta il simbolo assoluto della natura romantica,incarnando nella sua forma l’idea platonica di montagna,appicco trascendente e slancio metafisico verso il cielo”.Ed io inviterei gli appassionati ad avvicinarsi ad essa rifacendosi alla storia che la contraddistinse a metà dell’800,quando questa montagna rappresentò il più romantico mito dell’età eroica dell’alpinismo.


La mente corre inevitabilmente  agli eroi che per primi sfatarono i luoghi comuni in voga all’epoca,tra cui quello di James David Forbes che decretò il Cervino “unscaled and unscalable”e di John Ball,presidente del Club alpino inglese,il quale affermò che la piramide “will preserve the epithet  inaccessibile”.Mi riferisco agli amici-nemici Edward Whymper e Jean Antoine Carrel che diedero vita ad una vera e propria competizione per conquistare il primato della vetta. Ci riuscì il primo,il 13,14 Luglio 1865 dalla Cresta dell’Hornli,ascensione funestata al ritorno dal tragico incidente occorso  pochi metri più in basso della cima, allorchè quattro compagni di cordata,precipitarono per mille metri lungo la parete nord,causa un errore fatale. Carrel dal canto suo,lo seguì aprendo la diretta italiana lungo la Cresta del Leone il 16,17 Luglio 1865.C’è da dire che la via italiana opponeva difficoltà maggiori rispetto a quella  svizzera,almeno di uno,due gradi,ed anche oggi nonostante l’ausilio delle corde fisse ,la stragrande maggioranza dei salitori preferisce attaccare la Hornli e purtroppo anche per questo,essa conta più incidenti (anche mortali) rispetto alla meno frequentata,ma più selettiva via italiana.


Per me il Cervino è un sogno che prima o poi bisogna realizzare,un confronto con la più bella e difficile vetta delle Alpi e di conseguenza un confronto interiore con se stessi,un oltrepassare le colonne d’Ercole del proprio io,l’acquisizione di certe consapevolezze,uno splendido regalo,il più bello che ci si possa fare. Forse noi alpinisti definiti a volte “conquistatori del nulla”,non troveremo mai le vere ragioni,o forse aneliamo alla conquista del “bello assoluto”,quello che ci appaga,ci eleva ad una condizione più nobile,ci avvicina di più all’Assoluto. Mille e nessuna ragione,ma quando sei lassù non puoi che inginocchiarti,ringraziare e commuoverti,perché ce l’hai fatta,hai realizzato un grande sogno. Ora che ci sono stato,il Cervino è anche mio.

La Cronaca
“Sabato 11 Agosto 2012. Ore 7.40 di uno splendido mattino dal cielo terso. Sono alle ultime roccette prima che mi appaia la croce di vetta. Mi prostro qualche istante portando la mano sulla fronte china non tanto per la fatica ma perché un senso di profonda commozione mista a gioia mi pervade, accompagnato da qualche lacrima. Sono sul Cervino. Il mio sogno finalmente si è avverato. Mi avvio con piede fermo lungo l’affilata crestina nevosa che mi separa dalla cima,ed’ecco ci sono;non posso che inginocchiarmi e ringraziare:ce l’ho fatta.”

Luglio 2008
 Sono a Cervinia insieme ad alcuni compagni del Club Alpino i quali hanno organizzato una sortita ai Breithorn.Io e Massimo pensiamo di fare il Cervino ma per impraticabilità veniamo dirottati verso il monte Bianco dalle guide. Dopo una estenuante ascensione di 1400 m. di dislivello, la notte tra il 26 e il 27 Luglio al Gouter nevica. Anche il Bianco non si concede e ci impone un amarissimo dietro front.Il sogno è svanito,dissolto come neve al sole.

































Agosto 2011
Si organizza nuovamente per il Monte Bianco. Cinque minuti prima dalla partenza,terribilmente combattuto, rinuncio. Le previsioni meteo non mi convincono abbastanza. E’ un altro pugno nello stomaco,dettato però dal buon senso perché a causa delle avverse condizioni meteo,il Bianco anche stavolta impone la sua dura legge ai miei compagni respingendoli all’altezza della capanna Vallot.


Luglio 2012
Stavolta le cose devono cambiare. Questa del 2012 è una estate talmente torrida che anche la calotta del Monte Bianco si sta sciogliendo e le cronache registrano purtroppo l’ennesima strage lungo la via del Tacul,Mount Maudit dove una decina di alpinisti perdono la vita sepolti dal distacco di un blocco di ghiaccio da un seracco rovinando sui malcapitati  lungo il tratto di via,colpa del caldo appunto. Ma il Cervino questa volta “c’è” e decido di partire programmando la salita per un fine settimana di Agosto da rimandare in caso di cambiamenti di condizione. Va tutto bene,d’accordo con Pietro,la mia valida guida, si anticipa di un solo giorno,si farà il 10 e l’11 Agosto. Attraversata l’Italia l’avventura inizia.


Giovedì 9 Agosto 2012
Alle 14.30 dopo un viaggio in autobus durato 12 ore e due cambi a Torino e Chatillon giungo finalmente a Cervinia.La rinomata località è polo d’attrazione durante l’anno di folle di  alpinisti,escursionisti,sciatori e turisti di tutto il mondo e,anche oggi è animata dal solito  andirivieni  di gente. Cerco e trovo subito il mio albergo che mi servirà per adesso solo per cambiarmi e depositare il mio bagaglio. Si parte per gli impianti di risalita distanti poche centinaia di metri. Risalgo così ai 2500 m. del Plan Maison da dove si stacca una pista che tagliando in diagonale le conoidi di deiezione della base del Cervino,raggiunge in un’ora e mezza il Rifugio Duca degli Abruzzi all’Oriondè che ha riaperto i battenti a metà Luglio dopo diversi anni di chiusura per restauro. Si rivelerà fondamentale ai fini dell’acclimatamento alla quota. Dormire la prima notte a 2800 m. di sicuro permette al corpo di abituarsi alle quote elevate che si andranno a toccare i giorni successivi.

La serata trascorre piacevolmente a consumare una gustosa cena ma i pensieri non possono che affollare la mia mente e correre li fuori,dove svetta in tutta la sua imponenza sua maestà. C’è molto vento e la cima è invasa da preoccupanti formazioni nuvolose. Si spera naturalmente per il meglio confortati dalle previsioni che danno buono per i due giorni successivi. La sera si intravedono le luci del rifugio Carrel,posto come un nido d’aquila,lassù mille metri più in alto e medito sulla salita che si dovrà affrontare il giorno successivo,mentre con gli occhi traccio la linea ideale che corre dal Colle del Leone fino al Pic Tyndal e più su in cima. E’ la Cresta del Leone,un’opera d’arte di arditezza ed eleganza. Per adesso però mi concentro solo a raggiungere il Carrel, non voglio pensare alla vetta,domani notte si vedrà.


Venerdì 10 Agosto
Il gran giorno è arrivato. Al mattino,la giornata è splendida,non c’è vento e il Cervino,baciato dai primi raggi di sole è completamente sgombero di nubi. Dopo un’abbondante colazione mi preparo. Pietro mi raggiunge di gran carriera e dopo i convenevoli di rito si parte. Sono le 9.Dopo un primo tratto di sentiero battuto mettiamo i piedi sulle rocce e un centinaio di metri più in alto incontriamo il punto in cui la leggendaria guida Carrel morì di sfinimento nel portare in salvo un cliente. A sua memoria vi è posta una croce commemorativa con foto .Tre anni fa la zona era battuta da vari branchi di enormi stambecchi,stavolta non se ne vedono,complice certamente la più marcata presenza dell’uomo causa la riapertura del rifugio.


Dalla croce si punta ad un nevaio e successivamente ad un facile canale roccioso che permette di superare il sovrastante salto di roccia. Quì incrociamo qualche cordata che sta rientrando. Si raggiunge un altro nevaio che si attraversa verso destra fino al bordo orientale su una costola fino alle rocce della Testa del Leone .A sinistra intanto lo sguardo impatta con l’appuntita anticima della Dent d’Herens mentre verso oriente cominciano a dispiegarsi a processione i 4000 del Massiccio del Rosa. Ora bisogna impegnare l’insidioso traverso con percorso quasi pianeggiante che porta in pochi minuti all’esile diaframma del Colle del Leone posto a 3580 m. Questo tratto, dalla sommità del canale obliquo al colle, è minacciato in più punti dalla caduta di sassi e deve quindi essere percorso con attenzione.




































Al Colle però veniamo bloccati da due guide che ci impongono l’alt per via della presenza di alcuni massi instabili in bilico proprio lungo il filo della via,al di sotto delle ultime placche che portano alla Cheminèe. Altre due guide iniziano così il lavoro di “bonifica” facendo rotolare tali massi e provocando scariche di pietre impressionanti che finiscono alla nostra destra,precipitando nel ghiacciaio superiore del Cervino e alla nostra sinistra verso il Tiefmattenglettscher. Un’ora di attesa dove nel frattempo sopraggiungono altre cordate assiepandosi in quel fazzoletto di roccia. Ne approfitto per qualche foto di rito con l’elegante  Dent Blanche sullo sfondo. In verità,sussisteva anche la possibilità dell’intervento del geologo,il quale aveva facoltà di chiudere la via se lo riteneva necessario. In tal caso..…buonanotte Cervino.




































Scongiurata tale evenienza si prosegue. Saliamo prima per detriti fino alla base di placche inclinate iniziando l’arrampicata ed incontrando le prime corde fisse. Superiamo la Placca Seiler e raggiungiamo la base della famigerata Cheminèe.Una volta era un diedro verticale di una dozzina di metri che si superava grazie ad una grossa catena. Ma  il 18 Agosto 2003 alle sei di sera avvenne la catastrofe,2000 metri cubi di roccia che costituivano il diedro roccioso ,si schiantarono a valle.I 12 alpinisti che si trovavano al rifugio furono recuperati in elicottero e la via venne chiusa. Ora vi è una parete perfettamente verticale e al posto della catena un canapone. Questi è il tratto più faticoso dell’intero percorso. Issarsi a forza di braccia con violenza per undici metri verticali a 3800 m. spezza il cuore e il respiro. Mi ci sono voluti almeno cinque minuti per riprendere fiato e forze.

Un’altra lunghezza di corda sul filo di cresta per facili roccette e siamo in 4 ore e trenta (compresa la sosta forzata)alla Capanna Carrel, finalmente. Giungere presto (circa le 13.00)reca diversi vantaggi,primo  tra tutti trovare un posto letto libero,avere il tempo di consumare una colazione,prelevare la neve da sciogliere e bollire per le varie necessità. Ma cosa più importante è la possibilità di restare in quota (3830 m.) per molto tempo. In quel “carnaio” ho la fortuna di consumare la cena nel locale riservato alle guide,almeno un po’ di tranquillità e privacy. Scambiare poi quattro chiacchiere con Nicola Corradi,una delle guide del Cervino di maggiore esperienza non è cosa di tutti i giorni. La sera ci raggiunge inesorabilmente e il Cervino sopra di noi è minacciato da una brutta nuvolaglia. Sappiamo tutti che basterebbe una breve nevicata notturna per mandare a monte tutti i sogni di gloria degli aspiranti conquistatori. Ma ho fiducia,questa volta andrà bene.



Sabato 11 Agosto
La sveglia è prevista per le 2 (di notte),ma io già all’una sono in piedi;non riesco più a sopportare l’aria pesante che si respira nella zona  notte strapieno di gente,stipati come in una nave negriera. Esco fuori ed il Cervino è pulito sotto un meraviglioso cielo stellato. Il vento della notte ha portato via sia le nubi che ogni dubbio:si sale. Alle 2.45 io e Pietro, frontali accese e ancora un po’ imbrigliati dalle poche ore di sonno , usciamo dal rifugio per affrontare la prima difficoltà: la “Corda della sveglia”.E’ ancora fresco nella mente  lo sforzo compiuto alla Cheminèe e l’idea di trovare altre corde fisse simili un po’ mi terrorizza. Invece tutte le altre si riveleranno più abbordabili del previsto. La corda della sveglia ci consente di superare atleticamente una bella placca con tetto finale (III+) per portarci sul versante meridionale della "Gran Torre"e proseguire sul lato destro grazie ad altre corde fisse fino alla Crete du Coq,così chiamata perché assomiglia appunto alla cresta di un gallo. La cosa che più mi affascina in questo momento è l’idea di risalire il Cervino in piena notte,lungo un terreno roccioso insidioso e a tratti esposto,molto fisico sempre in arrampicata.


Continuiamo la nostra salita in piena oscurità e raggiungiamo presso le “Muvais Pas” un alpinista solitario,accovacciato su una roccia. Sembra non conosca la via o che abbia qualche difficoltà a proseguire. Può essere una nostra impressione,certo è che ogni giorno sul Cervino avvengono incidenti. Nicola,la guida prima menzionata definisce questi imprudenti “fenomeni”. Una delle regole di base per affrontarlo con sicurezza è di farlo legati in cordata e conoscere bene la via. Più su il “Linceul”,un nevaio perenne piuttosto appeso. Al suo margine superiore vi è un mancorrente in acciaio che però risulta spezzato e quindi lo utilizziamo fin dove si può mentre proseguiamo in conserva pronti a rinviare sulle numerose soste,fittoni e spit proteggendo in tal modo la nostra via. La “Grande Corde”,una catena di trenta metri che permette di superare una parete verticale segna la fine della serie di corde fisse fino all’attacco della Testa del Cervino.



Finalmente comincia ad albeggiare. Stiamo rimontando molto ripidamente il filo di cresta che ci condurrà dritti dritti ai 4241 m.del Pic Tyndal che raggiungiamo a breve. Qui indossiamo i ramponi perché non è difficile trovare neve ghiacciata sulla esile cresta e negli intagli rocciosi. Ad infastidirci non poco è però un vento teso da Nord che soffia imperterrito e che ci accompagnerà aimè fino alla fine. I primi chiarori cominciano ad illuminare il Massiccio del Rosa mentre davanti troneggia una immensa sagoma scura,è la Testa del Cervino,la cui parete è quasi completamente verticale. Ci aspettano gli ultimi 235 m. di dislivello da colmare ma prima dovremmo arrampicare e disarrampicare due brevi torrioni, delicati e lievemente strapiombanti, comunque ben protetti da alcuni chiodi con fettuccia e spit. La cresta che separa il Pic Tyndal dalla Testa del Cervino a mano mano diventa sempre più sottile ed esposta sui due ripidissimi versanti settentrionale e meridionale. L’ultimo ostacolo che ci separa dalla Testa del Cervino è uno stretto e ripidissimo intaglio che, se non si ha la fortuna di trovarlo colmato dalla neve, dovrà essere affrontato proprio con una sgambata: non a caso tale passaggio è denominato "Enjambée".


Il sole è appena sorto,nascosto alla nostra vista dalla Testa del Cervino,ma è uno spettacolo sfolgorante vedere come “incendia” di arancione la lontana vetta del Monte Bianco,il Gran Combin e la Dent D’Herens,e poi che meraviglia desta l’ombra del Cervino stesso che si proietta allungandosi fino all’orizzonte. Ma le ultime fatiche ci aspettano. Dopo un tratto di salita su facili rocce, puntiamo verso una serie di corde fisse arrampicando sulle solide rocce di un netto diedro che forma sopra un ampio terrazzino chiamato "Col Félicité",in onore della prima ascensione femminile del Cervino. Da questo punto parte il canapone che ci permette di superare una parete. Ancora un’altra paretina più alta della precedente servita dall’ennesima corda fissa ed’ecco la mitica “Scala Jordan”, scala di corda con 25 robusti pioli in legno che ci permette di superare, faticosamente, una placca strapiombante molto esposta di una decina di metri, altrimenti decisamente difficile. Siamo intorno ai 4350 metri di quota e penso come sarebbe un gioco da ragazzi  salire su una scaletta simile al livello del mare,ma a tali “altezze” è un’altra cosa.

Questi ausili risultano veramente determinanti ai fini della scalata. Carrel fece molti tentativi arrendendosi quasi sempre al Col della Felicitè.Infine indovinò la prosecuzione lungo una stretta cengia  chiamata “Galleria Carrel” che traversa a sinistra l’intera parete ovest della Testa del Cervino intersecando infine la parte finale della Cresta di Zmutt.La cengia però era interrotta a metà da un salto che Carrel e Jan Baptiste Bich discesero grazie alla corda tenuta dagli altri due membri della cordata,Augustin Meinet e l’abate Aimè Gorret che dovettero pertanto “sacrificarsi” per i due compagni.



































Le ultime corde fisse ci aiutano a superare un ripido e solido diedro e successivamente una placconata spiovente riguadagnando lo spigolo della cresta formata ora da solidissimi blocchi granitici. Terminata l'ultima corda fissa risaliamo le facili rocce di cresta, superando un estetico diedrino, per giungere infine sulla cima della vetta italiana del Cervino dopo cinque ore di dura salita dalla capanna. Pietro a questo punto si ferma e mi concede l’onore di raggiungere da solo la Croce posta nel colletto tra le due opposte vette immortalando con la mia digitale gli ultimi passi verso i 4476 m. della vetta italiana. L’emozione provata in quei pochi ma infiniti istanti ve le ho raccontate all’inizio.

Il Cervino non ama dividere la scena con nessuna altra montagna,così unica e isolata da tutte le altre. Per questo il panorama da questa magica vetta,è assolutamente fantastico,spaziando la vista  a 360 gradi. Oltre le cime già citate,si abbraccia con un colpo d’occhio l’intero Massiccio del Monte Rosa,dal Breithorn alla Punta Gniffetti.Poi la Grivola e il Gran Paradiso. Verso Nord altri splendidi 4000 svizzeri del Vallese,la Dent Blanche,il Weisshorn, l’Obergabelhorn,lo Zinalrothorn,i Mishabel.”Magnifici,affilati,ma inesorabilmente sudditi minori di questo magnetico Cervino”(Meridiani Montagne).


Per dire di aver fatto il Cervino bisogna scendere ed arrivare all’auto. Per questo è fondamentale giungere in vetta non eccessivamente stanchi,raccogliere le energie,mantenere lucidità e concentrazione per la delicata discesa che avverrà per la stessa via. Un passo falso,uno scivolone qui può essere fatale,ma  un notevole aiuto deriva dalla possibilità di effettuare numerose doppie velocizzando e rendendo in tal modo più sicura la discesa. Pian piano ripercorriamo a ritroso tutti i passaggi fino a raggiungere il Carrel che vedo come una mezza liberazione. Una mezz’ora di sosta,una veloce colazione e giù verso il Colle del Leone,il traverso e il contrafforte roccioso alla base della Testa del Leone fino a rimettere piede sul sentiero battuto che a breve porta al Duca degli Abruzzi che raggiungo alle 16.45,nove ore in totale dalla vetta. Inutile dire che ci arrivo veramente “cotto”.Il provvidenziale gippone che fa da navetta tra il rifugio e Cervinia ci evita una ulteriore impossibile discesa a piedi di otto chilometri e 800 m. di dislivello per raggiungere il paese e il mio albergo. Solo adesso posso dire con orgoglio di aver “fatto” il Cervino concludendo e realizzando in tal modo una fantastica avventura.


6 commenti:

bupa77 ha detto...

Complimenti Giù!!!!!!sei un grande..racconto fantastico!!

falcotrek ha detto...

letto tutto d'un fiato questo bel reportage del tuo "sogno": non ci sono parole, strepitosa avventura!
Complimenti e un grande abbraccio,
P.

Tommaso Cassone ha detto...

...........noi conquistatori del nulla...........Un racconto davvero emozionante Giu' , sono davvero contento per te ,me ne avevi parlato , ora la voglia che e' in noi che ti leggiamo aumenta , ma non bisogna correre , un passo per volta , forse ci vorrano degli anni , ma se davvero lo desideri ci si arriva vero Giu' ?
Un abbraccio da uno che ti stima molto .

Pollinofantastico ha detto...

X bupa:
Grazie davvero.E' stata una bella avventura.Poi ne riparleremo.


X falcotrek:
Grazie anche a te.Devo ringraziare anche la mia guida,Pietro che mi ha accompagnato dandomi grande sicurezza soprattutto nei passaggi chiave e al meteo che stavolta è stato favorevole.


X Tommaso:
Sono contento nel contribuire ad aumentare la passione per la montagna,ma come dici tu bisogna prepararsi gradualmente alle cose complesse e poi..come disse Walt Dysney:se puoi sognarlo puoi farlo.

Un abbraccio a tutti e alla prossima scalata insieme

Edva ha detto...

Non ho parole...
sei riuscito a commuovermi...
hai descritto meravigliosamente bene il tuo sogno.
Questa è la scalata della tua vita...
complimenti di cuore!

Le parole che hai usato nell'introduzione sono profonde e trasmettono emozioni...
Come siamo piccoli difronte a tanta maestà!

Un abbraccio e ora non sognare più! ih ih ih :)

...Edva...**

indio ha detto...

Complimenti per la riuscita dell'impresa, Giuseppe, è un onore per tutti gli escursionisti "pollinesiani" questa tua ascesa!
Indio